I charity shop, luoghi pieni di tesori, hanno una storia affascinante che risale al XIX secolo nel Regno Unito. Originariamente concepiti come punti di raccolta per oggetti donati a sostegno di cause benefiche, si sono trasformati nel corso dei decenni diventando veri e propri pilastri del fundraising nel mondo anglosassone.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1941, mentre Londra subiva i bombardamenti nazisti, la Croce Rossa aprì il primo vero e proprio charity shop al 17 di Old Bond Street, raccogliendo fondi per i cittadini colpiti dal conflitto.
Ma è nel secondo dopoguerra che il moderno concetto di “charity shop” prende forma, con l’ingresso nel settore di Oxfam, uno dei maggiori player del charity retail nel Regno Unito. Nel 1946, in risposta alla crisi umanitaria in Grecia, Oxfam fece un appello per raccogliere indumenti da inviare ai civili. Le quantità raccolte furono così elevate che si decise di vendere il surplus di indumenti localmente per raccogliere fondi da investire nei numerosi progetti di sviluppo portati avanti da Oxfam. Nacque così nel 1947 il primo vero e proprio charity shop moderno ad Oxford, presso Board street, tuttora esistente.
Negli anni successivi, altri enti non profit aprirono svariati charity shop, accelerando l’espansione a partire dagli anni ’60, in un periodo di crescente consumo e produzione di beni.
Oggi, nel Regno Unito, ci sono circa 9.000 charity shop, ciascuno con il proprio carattere distintivo e la tendenza si è diffusa anche in altre parti del mondo, inclusa l’Italia, che annovera esempi virtuosi di presidi sia stabili che temporanei.
I charity shop sono molto più di semplici negozi solidali: rappresentano punti di riferimento per sensibilizzare le persone sulle organizzazioni non profit, comunicare mission e progetti, creare opportunità di volontariato e promuovere la cultura del dono. In un’epoca di crescente attenzione alla sostenibilità, offrono anche una soluzione per ridurre gli sprechi e dare nuova vita agli oggetti donati.
Last modified: 4 Settembre 2024